Il contributo di Gabriele Basilico alla lettura del paesaggio urbano contemporaneo
a cura di Letizia Ragaglia

Il contributo di Gabriele Basilico alla lettura del paesaggio urbano contemporaneo L'intero lavoro di Gabriele Basilico costituisce un'importante tappa all'interno del complesso rapporto tra immagine fotografica e paesaggio urbano e senza dubbio anche la sua recente campagna fotografica incentrata su alcuni quartieri della città di Bolzano rappresenta una conferma della capacità indagatrice del suo sguardo. Addentrarsi meglio nella peculiarità di tale sguardo, che ai suoi esordi ha costituito un importante momento di rottura ed è in seguito diventato strumento utilissimo per specialisti di altre discipline quali architettura, urbanistica e sociologia, implica necessariamente alcuni brevi cenni storici. Sin dalle sue origini la fotografia è stata un medium privilegiato per la comprensione del territorio; nata in concomitanza con la prima tangibile espansione delle metropoli europee, ha colto le loro rapide trasformazioni strutturali e quelle dei paesaggi circostanti. Perseguendo il compito di conservare la memoria di ciò che stava scomparendo e di seguire i ritmi delle mutazioni in atto, inizialmente molta produzione fotografica si è essenzialmente limitata a specifiche categorie, quali l'architettura monumentale e il paesaggio. All'interno di queste categorie vanno sicuramente ricordate le campagne finanziate a metà Ottocento dall'Administration des Beaux-Arts, volte a inventariare le ricchezze monumentali della Francia, ma vanno anche annoverate le documentazioni sulle trasformazioni del paesaggio francese ed americano prodotte dalla costruzione delle nuove linee ferroviarie, compiute rispettivamente da Edouard-Denis Baldus negli anni Cinquanta e da William Rau negli anni Novanta. Di fondamentale importanza per l'esplorazione di nuove frontiere del fotografico sarà più tardi, negli anni Trenta del Novecento, il Farm Security Project di Walker Evans, ovvero una campagna di documentazione sulla vita negli stati del Sud degli Stati Uniti. La consapevolezza effettiva che tutte queste campagne e missioni non hanno il significato di una semplice descrizione del paesaggio in trasformazione, ma costituiscono un peculiare rapporto con la realtà, una percezione, che non è subordinata alla realtà, bensì diventa autonomo luogo di ricerca, nasce negli anni Settanta del nostro secolo. Negli Stati Uniti come in Europa certa fotografia degli anni Settanta esprime una nuova attitudine dello sguardo, uno sguardo che prova a porsi interrogativi circa le sue possibili relazioni con l'esterno. Tra le esperienze più significative merita una particolare attenzione quella di autori come Lewis Baltz, Stephen Shore, Robert Adams, Bernd e Hilla Becher e altri, riuniti sotto l'etichetta di New Topographers da una fortunatissima mostra dal titolo New Topographics tenutasi a Rochester nel 1975. I nuovi topografi sono accomunati da una precisa volontà di attualizzare la nozione di documento e dall'aspirazione di sperimentare la capacità di percezione di diversi sguardi, sviluppando individualmente un proprio linguaggio incentrato su un tema specifico. Se Bernd e Hilla Becher si sono dedicati all'attività di catalogazione di elementi di archeologia industriale, Lewis Baltz ha dedicato la propria attenzione ai nuovi "parchi industriali" della California, ai sobborghi di Washington, alle nuove urbanizzazioni del Nevada. La fotografia scende sempre più di scala, si concentra sempre più sui bordi, sui margini degradati di un paesaggio quotidiano scrutato nei minimi dettagli con un ossessivo scrupolo di precisione. Forse è quasi pleonastico aggiungere che lo sguardo di Gabriele Basilico va associato a questo clima culturale, che egli respira più o meno consciamente, più o meno intuitivamente. Sin dai suoi esordi l'oggetto del suo sguardo non è costituito dai monumenti e dalle classiche bellezze naturali, bensì dalle zone urbanizzate e industrializzate della provincia e della periferia. A partire dal suo primo significativo risultato con Milano. Ritratti di fabbriche (1978-80), nella sua ricerca si fa strada una nuova sensibilità capace di cogliere quella che Costantini definisce appropriatamente "poetica del vuoto" e che si cela nei grandi spazi delle nostre periferie . Il linguaggio di Basilico scaturisce da una costante ed ossessiva attenzione a realtà marginali, banali, anonime, di cui finisce per scoprire le potenzialità e le bellezze. Da più di un ventennio Basilico indaga fotograficamente le città italiane ed europee, svolgendo incarichi di pubblica committenza, come nel caso della campagna sui nuovi quartieri di Bolzano. In tutti questi casi egli "entra" effettivamente negli spazi urbani: il suo obiettivo evidenzia relazioni, vede "oltre" ed è dunque anche strumento di comprensione. Non a caso sempre più architetti e urbanisti si servono delle fotografie di Basilico: perché non sono una semplice testimonianza, ma uno strumento che ci ricorda come il concetto di armonia sia mutato e come si sia diffusa una nuova sensibilità basata sul contrasto, sulla tensione, la discontinuità. Quelli che fino ad un certo punto della nostra recente storia sono stati considerati elementi negativi della città contemporanea, costituiscono gradualmente una qualità per la definizione di un nuovo paesaggio urbano. Inoltre, l'occhio del fotografo crea delle aspettative, delle attese, induce a degli stati psichici nei confronti del soggetto fotografato. Non a caso il lavoro di Basilico sopraccitato porta il titolo Milano. Ritratti di fabbriche. Nulla potrebbe meglio definire le immagini del nostro autore della parola ritratto: è un termine che non rinvia ad una copia, bensì ad un'attenta e minuta indagine, che coglie sfumature celate e che suscita in seguito evocazioni e reazioni. I quartieri abitativi di viale Druso e viale Europa, di via Sassari e via Cagliari sono stati minuziosamente ripercorsi e osservati; gli edifici sono stati ripresi frontalmente e di lato, in parte o in veduta d'insieme nel tentativo di carpirne le qualità, i limiti o i difetti. La dedizione di Basilico per queste realtà ha evidenziato la necessità di un nuovo sguardo, libero da pregiudizi su un territorio che comprende periferie storiche e nuovi complessi residenziali e che rappresenta ormai lo scenario della nostra vita quotidiana, a Bolzano come a Milano o a Roma. Dopo aver visto le fotografie della campagna fotografica in questione, noi non possiamo guardare la "casa dei pifferi" o le "torri del Plaza" con la stessa "visione da turisti" che avevamo prima. Basilico ha intensificato la visione di questi quartieri ai margini, ne ha colto mirabilmente l'identità, ma anche l'universalità. La nuova città di Bolzano è ritratta in quello che ha di più specifico, ma al contempo assurge a modello generale. Da un lato percepiamo le caratteristiche peculiari, dall'altro impariamo ad instaurare un legame con la città contemporanea priva di storia e di miti. Anche in queste fotografie - come in tutta l'opera di Basilico - c'è un sottile anelito alla sublimazione, il tentativo di far affiorare la bellezza suprema dei contesti eterogenei e discontinui della periferia contemporanea, delle sue tipologie abitative e dei suoi vuoti senza volto. Per riconoscere il carattere eterogeneo delle "nuova" città e le emozioni estetiche che suscita, siamo invitati a rinunciare ai troppi preconcetti e a guardare alla realtà con un atteggiamento nuovo. Si tratta di accostarsi ad un'idea diversa di città, in cui la dissimmetria e l'accumulazione, la molteplicità e l'insolito, l'ibrido e il tradizionalmente "difforme" diventano qualità estetiche. Questo significa anche rinunciare al falso mito di una "provincia felice", che resiste al degrado urbano proprio delle metropoli difendendo un proprio vocabolario architettonico. A Bolzano, come in altre città di provincia, non è più possibile tracciare un confine netto tra territorio metropolitano e piccolo centro. Anche Bolzano fa parte del villaggio globale, i caratteri e i problemi delle sue architetture assomigliano sempre più a quelle delle grandi periferie urbane e l'occhio di Basilico ci sostiene nel comprenderlo.

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