Quando la periferia è storia viva di una città
di Paolo Campostrini

Quando la periferia è storia viva di una città di Paolo Campostrini Starci, in periferia. Essere "fuori" quel poco che serve per passare un pomeriggio in un cortile a guardare le finestre aperte e il cielo pigro. Potrebbe anche bastare. Perché trovarsi a passare un po' di vita in un luogo così può riservare delle sorprese. Antropologicamente sarebbe un "non luogo". Brutta parola. Una parola che svuota la mente, che aspira le immagini in un vortice buio di piazze senza volto, muri grigi, edifici informi o deformi o deformati dall'essere lì invece che altrove. Non caratterizzati se non dall'assenza di carattere. Urbanistico o urbano, architettonico o progettuale che sia. Monumenti non monumentali o meglio monumenti all'uniformità industriale e di vita. Orari di fabbrica, case che si svuotano e si riempiono, vie attraverso cui si passa per "andare oltre" perché durino il meno possibile, che siano da ricordare il meno possibile. Così "non vie", "non piazze". Poi, ci si trova a parlare con qualcuno che ha vissuto lunghi spezzoni di vita in queste categorie antropologiche e urbanistiche. E che lo ha fatto qui, a Bolzano. E' una città che spiazza le categorie, Bolzano. Lo fa da sempre o almeno, da tanto. Da quando si è trovata ad essere due. Due città, due stili di vita, due speranze di futuro. Due progetti di città in senso proprio. Da quando è apparsa come un Eldorado del lavoro per chi lasciava la vanga e la schiena piegata e la terra dura per entrare nel nobile mondo della fabbrica dove tutto era possibile. Anche avere una casa vera. Fino ad allora, periferia a Bolzano erano state le vigne dei masi antichi. E quando la periferia è nata, dagli anni Trenta, non è nata come periferia ma come città. Come Città nuova. Luogo anche dell'immaginario architettonico, spazio di sperimentazione urbana e formale. E' una delle poche città italiane, con Pontinia, Latina e le altre, della quale si può avere la documentazione fotografica della nascita. Le direttrici tracciate in mezzo ai frutteti, gli spazi costruttivi che creano il vuoto e il pieno in un paesaggio che rimanda a De Chirico o a De Pisis. E la gente che giunge per abitare quelle case bianche, le vie pulite e diritte come in un sogno. Il governo fascista aveva mandato qui a tracciare solchi urbani gli architetti che sentivano i venti nuovi in un inconsueto sodalizio tra antica conquista del territorio (il regime) e futuribile approccio con la materia (gli urbanisti). Bellissime cose e bellissime case nella Città nuova degli uffici e dei funzionari (Corso Libertà, Piazza Vittoria e Mazzini), in quella degli impiegati - operai (Via Torino) e in quella degli operai - contadini (le Semirurali). E in tutti gli abitanti di allora come una inconsapevole euforia mista a prudente circospezione come documentano le vecchie fotografie dei primi abitanti delle casette oltre Piazza Don Bosco; volti affacciati alle piccole finestre dentro i muriccioli, fissate in un sorriso estatico e nuovo. Come fanno luoghi come quelli, come questi, a finire tra i non luoghi" delle categorie antropologiche e urbanistiche? Difficile. Anche se geograficamente periferia una città come quella, nata e cresciuta oltre via Roma e via Druso, in quel profondo triangolo che digrada verso sud, sarà sempre "centro", almeno di memorie e di atmosfere. E "luogo". Le due Bolzano, cresciute in parallelo dagli anni Trenta, quella storica, sudtirolese, oltre il Talvera e quella nuova, italiana, dai cento dialetti e dalle mille speranze, avranno ambedue il loro centro, o più di uno. E nessuna si sentirà mai periferia in senso pieno, dell'una o dell'altra. Quando il "primo" centro della Bolzano italiana, quello intorno ai fulcri di Corso Libertà e Corso Italia, acquisirà consapevolezza di pari passo con la crescita sociale delle classi professionali e medio - borghesi che vi alloggiavano, il "secondo" centro, tra via Torino e Piazza Don Bosco, si scoprirà vivo nei suoi centri commerciali, nei negozi, nel mercato rionale, nella nuova certezza di un dignitoso benessere conquistato al termine dei difficili anni del dopoguerra. Sarà la "Bolzano ovest". Nessuno sfascio urbano, nessun degrado viario o architettonico. Ma, anche nei rioni più popolari, come un orgoglio di appartenenza ad un blocco sociale riconoscibile, fortificato dagli anni passati insieme tra mille avversità e tentativi di emarginazione. Poi, la crescita e il benessere successivo agli anni Sessanta hanno portato anche a Bolzano i diritti formali del censo e della via residenziale. E allora la differenza non l'hanno più fatta le coordinate geografiche (di qua o di la dal Talvera) o etniche (tedeschi o italiani) ma la possibilità di acquistare dove meno pesante e ossessiva era la pressione del traffico o la densità abitativa. E i ricordi: "Ci chiamavano quelli di Shangai. Ho sentito questa parola la prima volta a scuola. E ho pensato a Bolzano come a una città grande, con tante cose distanti tra loro. E ho inteso le differenze." Le differenze. Nelle città, in tante città, sono evidenti. A Bolzano ci sono ma, come dire, sbattono meno. Perché la storia di una comunità, quella italiana, che vive qui al massimo da tre generazioni ha compiuto quasi lo stesso percorso. La stessa valigia su un treno, la stessa stazione d'arrivo, il lavoro tra gente nuova e ugualmente sradicata, la nuova frontiera Alto Adige raggiunta tra cento curiosità e mille paure. Così, in quel primo nucleo operaio, via Torino, le Semirurali, si è costituita nei decenni una sorta di "nobiltà" popolare e popolana, più forte degli altri insediamenti proprio perché consapevole delle proprie radici, dotata di una forte identità anche dialettale, di usi e modi. Semirurali. Un nome, una storia. L'orto, l'albero, la campagna che diventa fabbrica, il primo stipendio fisso, l'asilo che nasce vicino per i figli piccoli, la scuola quando si cresce. Un passaggio dolce tra passato e futuro. Difficile che lì non cresca un bolzanino estremamente caratterizzato, soprattutto attraverso anni in cui gli immigrati italiani si trovavano contrapposti a una solida comunità tedesca, sicura della propria cultura e del suo radicamento. Il dialetto, prevalentemente veneto, la chiesa, la fede, lo sport fornivano proprio a "Shangai" le armi perché una qualche identità comunque maturasse senza troppi traumi. Crescevano le differenze con la città che arricchiva ma crescevano anche i collegamenti tra le famiglie e i gruppi, la vitalità, i commerci, la solidarietà, le parrocchie, i centri sociali e sindacali. Uno di quelli che c'è cresciuto ripensa "al cielo sempre sopra la mia testa: vedevo l'orto di mia mamma, l'albero vicino al muro e le montagne. Parlavamo con i vicini, tutti i giorni, c'era la banda che arrivava, qualche volta, e passava per le vie vicine. Mia mamma mi "mollava" la mattina e io tornavo alla sera come dopo una lunga avventura, come fossimo in campagna; si scoprivano posti nuovi e nascosti e si facevano le "bande" con gli altri ragazzi. Ma, a ripensarci, ci sentivamo tutti leggeri, sicuri. Oggi, con mio figlio, lo sarei di meno." E' cambiato qualcosa? Molto, pare. Ma non solo qui. La sicurezza, soprattutto, e le strade che non sono più vuote, le macchine, la gente che si accalca. Erano quasi un paese le Semirurali. Con le storie di tutti i paesi. Oggi? "Forse siamo più periferia o forse no...E' tutto più periferia se penso alle altre città dove fuori dal centro le strade sono brutte e c'è polvere sulle case. Bolzano resta un poco diversa. Ma se debbo fissare qualcosa che è comunque cambiato davvero direi la sicurezza e il traffico." Ecco, le auto. Sono forse la nuova connotazione della qualità urbana. Posti che ne hanno di meno, posti che ne hanno di più o se ne "vedono" di più. E poi la gente: ne arriva e cambia. Negli anni Sessanta - Settanta la "Bolzano ovest" cambia di pari passo con le esigenze della società che da allora inizia a chiamarsi "di massa". E gli urbanisti e gli architetti non vanno per il sottile. Le Semirurali iniziano ad essere assediate da palazzi alti e senza volto. E' un passaggio devastante che cambia il profilo delle città e anche i rapporti tra le persone. Ma anche il momento in cui crescono i piccoli progetti privati, il sogno di una casa che non è più regalata da un governo ma è conquistata da soli, tra mille privazioni con i capifamiglia che entrano in fabbrica la mattina pensando ai pochi risparmi accumulati che possono già significare qualcosa: "Stavamo in soffitta, da quattro anni, tutti insieme. C'erano i cantieri intorno e già tante macchine. E' stata dura ma eravamo felici. Poi abbiamo conquistato una cooperativa: vedevamo crescere la nostra nuova casa, bianca, alta, moderna. Oggi ci siamo dentro. Non vedo più la strada ma mi alzo la mattina e vedo le montagne, lontano, libere. Sembrano tutte per me." E le Semirurali sempre assediate. E che cadono a pezzi. Stanno a lungo così poi Bolzano decide di cambiare. Prima qualche lotto poi il progetto si fa strada. A fianco era già sorto il quartiere Europa. E' la "Seconda zona d'espansione" che prende forma. "All'inizio vedevo tutti quei campanelli e mi spaventavo. Ho vicini che quasi non so che faccia hanno. Ma l'Europa è così. In compenso ci hanno messo tutto vicino. Le strade, i bar, i negozi, gli uffici, i medici, le banche. E' una favola. Meno quello che si vede la sera. Ragazzi sbandati, paura a camminare soli, gli spinelli. E pochi ci ascoltano." Poco più in la ai grattacieli da sky line nordamericana iniziano a sostituirsi i colori. Nasce la zona "ex Semirurali". Rosa, azzurro, verde. E le case, anche quelle grandi, che fanno paura e non vedi i vicini, iniziano ad avere un carattere. E un nome. Alcuni belli, alcuni no. Le Inglesi, le Inglesine, la Barca, i Pifferi, l'Ospedale, l'Alcatraz. Molte sono alte ("Perchè farle con così tanti piani?..."), altre iniziano a riproporre profili più morbidi, ad offrire rimandi antichi, i porticati, i balconi, gli androni fioriti. Cambia anche la percezione. La periferia, a tratti, non è più paese che riesce in qualche modo a non abbruttirsi in periferia marginale ma non è solo confortevole dormitorio suburbano come altrove può accadere. "Sì, forse siamo ancora periferia ma vedo che i giovani restano qui la sera. Non fuggono verso il centro. D'estate c'è forse più vita qui, nei bar, nei giardini, che in "città"". Altri vanno giù duri: "Se avessi la pistola la porterei con me. A volte ho paura ad andare a portare fuori il cane. Ma forse è così dappertutto..."

Una cosa è certa. A "Bolzano ovest", nella "Seconda zona d'espansione", nell'"Ex - Semirurali", la città offre la percezione del cambiamento. Contribuisce a quella nuova multiformità della visione urbana che è il percorso che stiamo compiendo in questi decenni. Lo fa lì, molto più che altrove perché è forse nella periferia che, oggi, l'estetica sta accelerando. Basilico ce lo fa scoprire d'improvviso, come un lampo di luce che riempie ciò che noi crediamo "vuoto". Ma anche a guardare, senza correre, Pifferi e Inglesine, colori e volti, percepiamo di passare attraverso un laboratorio. Che inizia, a poco a poco, ad ascoltare anche i bisogni di chi ci vive. C'è meno freddo a entrare in quelle case che si aprono su una piazzetta che sembra antica.

Per i contributi fornitici si ringraziano Ivan Dughera, Heinrich Oberrauch, Peter Morello e in particolare Roberto Colaone, Mario De Biasi, Donata Fabbri, Giuseppe Favaro, Anna Gallmetzer, Luca Giordani, Marianne Ilmer Ebnicher, Lorenzo Melezio, Rosa Morghen, Maria Moretti Stefania Schipilliti.

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